ENZO MOSCATO E LA SUA INTERPRETAZIONE DI PULCINELLA
Ecco un breve stralcio di un articolo d'epoca sulla messa in scena dello spettacolo dato al teatro Mercadante di Napoli:
(...) Con Enzo Moscato il palcoscenico si è riempito di una magia densa e coinvolgente.
"Fuga per le comiche lingue tragiche a caso" ha la sintesi folgorante delle grandi intuizioni poetiche, la rarefazione e insieme la ricchezza polisemica di un linguaggio espressivo compiuto, maturo, vero e proprio microcosmo di segni.
Questo Pulcinella lacerato tra i riferimenti rassicuranti della tradizione non più proponibile e le stravolte tensioni della città divenuta Fogna , Babele , Inferno , è una creazione di immensa forza poetica e drammatica, e l'interpretazione che ne ha dato Moscato è stata anch'essa straordinaria: quella voce dai ritmi di originalissima musicalità, quel corpo che disegna accenni di stilizzatissima danza, quegli scarni segni (una maschera - pelle strappata via, un lenzuolo insanguinato, lacerato, delle canzonette che annegano nel silenzio), le voci registrate di Pina Cipriani e Nico a delineare due universi contrapposti eppure vicini ... rito dionisiaco e grande teatro, che ha affascinato il pubblico tanto da indurlo ad un'autentica ovazione .
Di seguito, invece, uno stralcio tratto dal sito drammaturgia.it per la presentazione del libro Orfani veleni Scannasurice, Signurì, signurì..., Co'Stell'Azioni, Orfani veleni dove si parlava dello stesso teso.
(questo operato su Pulcinella n.d.r.) ... è un «esercizio di de-mascherazione» (...) scritto (su sollecitazione esterna) nel 1990 e composto da numerosi frammenti di varia natura, alcuni ricavati dalla Tradizione (i dialoghi fra Colombina e Pulcinella) e altri - presi in prestito da precedenti lavori moscatiani - risalenti a una vera e propria «es o anti-Tradizione»: l'esterno e l'interno, il noto e l'ignoto, il sopra e il sotto, la memoria e l'oblio sono così chiamati a fondersi e a interagire fra di loro, e a portare avanti, dandosi la parola l'un l'altro, un discorso sulla «Maschera», intesa - nietzschianamente - come uno strumento per proteggersi da ciò che di perturbativo e orrendo c'è dentro di noi. Il protagonista di Orfani veleni, per esempio, «il (cosiddetto) burattino» Pulcinella, si mette la maschera per proteggersi da se stesso, ovvero dalla vera e propria incarnazione della terribilità dell'inconscio: «non stupido re dei maccheroni, non cacasotto dispensiere d'allegria, niente strafottente o ingordo voltagabbana, ma solo un insieme sinistro di segnali, un intreccio, assurdo e surreale, di suoni e di lingue, disinvoltamente spalancati su Qualcosa di Spaventosamente Indefinito». «"Bella" metafora di morte», "bella" perché fa paura, Pulcinella, oggi, «dinanzi al quotidiano imbarbarimento, di fronte all'inarrestabile devastazione di cose e sentimenti» di una città come Napoli, invita gli artisti ad affrontarlo: ad affrontare il tema della morte, per cercare di tramutarlo in «urlo fortissimo di vita, di rispetto per la vita, di ferma custodia della memoria».
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